L’ultimo episodio della vicenda delle cave di Botticino ha avuto ampio risalto sulla stampa.

In effetti la sentenza del Consiglio di Stato sul bando per il sinistra Rino (ATEo3) ha riportato le lancette indietro nel tempo, azzerando quanto fatto dalla mia Amministrazione nella precedente tornata.

Entrata in carica a maggio del 2014 il primo problema che ho dovuto affrontare era la scadenza al 31 dicembre 2017 della proroga triennale delle concessioni, concessa dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come tempo utile per predisporre il bando. In Italia non c’erano esperienza di bandi per le cave di marmo a cui poter attingere e si trattava di fare gare a livello europeo (per l’ammontare degli importi in discussione).

Premesso che spetta alla Provincia valutare dove, quanto e come scavare, sia nel piano precedente – cosidetto “piano Pinzari” – che in quello elaborato dal geologo Reguzzi, era indicato che in futuro si doveva evitare il ripetersi della sovrapposizione di ditte diverse.

Come soluzione il Consiglio Comunale nel 2013 aveva approvato l’ipotesi suggerita da “Pinzari” prevedendo lo spostamento ancora più in alto delle due cave superiori, in un’area non soggetta a escavazione, raggiungibili con una nuova strada da realizzare.

Soluzione complicata da attuare, che come minimo necessitava di tempi lunghi e che comunque era sottoposta ai ricorsi promossi al TAR da parte delle aziende interessate.

Nel 2015 con il piano “Reguzzi” era stata formulata una diversa ipotesi, con la suddivisione del bacino in 6 lotti affiancati che occupavano sostanzialmente la stessa superficie dal basso verso alto, proposta che aveva registrato il semaforo rosso da parte di tutte le aziende.

Inoltre già il piano del 2013 evidenziava il progressivo contrarsi della produzione dei blocchi nell’ultimo decennio allora considerato (2001 quintali 1.408.684, 2011 quintali 1.261.269), che vedeva l’apice dei quantitativi risalire al lontano 1995.

A mio avviso un amministratore pubblico dovrebbe impegnarsi per evitare che si svalorizzi il patrimonio della propria comunità, ancor di più quando le concessioni sulle cave procurano  cospicue risorse, preziose e utili per sostenere i servizi alla cittadinanza.

Queste le premesse per le decisioni che il Consiglio Comunale da me presieduto doveva assumere per delineare i criteri delle gare obbligatorie.

Il bando poteva essere l’occasione per un intervento che, oltre a dare una maggiore sicurezza per i lavoratori, incentivasse il farsi rete da parte delle imprese per renderle più forti in un contesto nazionale ed internazionale altamente concorrenziale.

Per questi motivi – dopo un intenso lavoro che ha coinvolto anche la Commissione Ordinaria Cave – si era fatta la scelta del lotto unico, la parte del bando bocciata dal Consiglio di Stato.

Eppure il TAR il 3 maggio 2019 aveva sentenziato: “La presenza di un unico soggetto economico responsabile della gestione dell’intero bacino di scavo consente infatti di programmare unitariamente l’avanzamento dei diversi fronti di scavo, e dunque migliora la sicurezza delle condizioni di lavoro, in particolare evitando le attività interferenti.” proseguendo con “La tesi della ricorrente secondo cui il lotto unico costituirebbe una violazione del favore per la suddivisione in lotti espresso dall’art. 51 del Dlgs. 50/2016 non è condivisibile. È vero che la suddetta norma si propone di favorire la partecipazione alle gare delle microimprese e delle piccole e medie imprese. Questa indicazione non deve però essere intesa in senso assoluto, in quanto l’amministrazione può motivatamente scegliere la via opposta, qualora ritenga preferibile avere come controparti grandi imprese o grandi raggruppamenti temporanei di imprese, allo scopo di favorire la produttività e l’efficienza, o per altre esigenze di interesse pubblico. Nello specifico queste condizioni sussistono. Il Comune ha un evidente interesse a massimizzare il risultato economico dell’escavazione di marmo sulle aree di sua proprietà.”

Giova ricordare che il bando aveva anche suddiviso i 100 punti da assegnare in:

  • profili ambientali, sicurezza e qualità della coltivazione 44 punti;
  • profilo della valorizzazione del prodotto 20 punti;
  • profilo sociale 9 punti;
  • profilo premiale per la partecipazione delle microimprese 2 punti;
  • offerta economica 25 punti.

L’amministrazione in carica ha subito rinunciato a difendere l’interesse pubblico al Consiglio di Stato ed è innegabile che quando il Comune si è costituito al TAR l’esito è stato diverso.

Rinuncia incomprensibile, anche se la presenza di un protagonista tra gli oppositori al bando nei candidati alle elezioni nella lista vincitrice, non faceva ben sperare.

Il battersi contro le scelte precedenti è arrivata all’assurdo con l’incarico a fine 2020 ad un tecnico per verificare la congruità del canone messo a bando, che era di 1,80 € al quintale con un minimo di 1.810.800 € annui sui blocchi e 320.178,93 € per il primo anno, poi si applicava una percentuale, sugli scarti ceduti al frantoio.

L’assurdità sta nel fatto che il consorzio che aveva fatto l’unica offerta rispondente ai requisiti di gara, era disposto a corrispondere gli importi stabiliti e che la contestazione dei ricorrenti sui canoni non è stata accolta nemmeno dal Consiglio di Stato.

Per le azioni messe in campo dagli attuali amministratori, la sentenza è arrivata in ritardo e nel frattempo la situazione delle cave è ulteriormente peggiorata.

Adesso confidiamo che in tempi brevi l’Amministrazione coinvolga le competenti commissioni ed il Consiglio Comunale per rendere noto come intende procedere. Essendo preoccupati per le conseguenze su imprese, lavoratori e bilancio comunale, nell’interesse dei cittadini botticinesi, da parte nostra ribadiamo la piena disponibilità a collaborare per una prospettiva di sviluppo del nostro bacino marmifero basata su proposte serie e percorribili.

Se si riuscirà a riportare la produzione e le entrate comunali ai livelli previsti dal bando, saremo i primi a rallegrarcene.

Donatella Marchese
Capogruppo Scelgo Botticino

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